Lidia Gallico (F / Italy, 1932), Holocaust survivor

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Lidia Gallico (F / Italy, 1932), Holocaust survivor

Pagine Ebraiche (15 giugno 2023)

Ci ha lasciato ieri, a quasi 91 anni, Lidia Gallico. Ha raccontata la sua vicenda nel libro Una bambina in fuga – testo pubblicato nel 2016 da Gilgamesh Edizioni per la curatela di Maria Bacchi. Lidia è stata tante cose: una bambina felice, prima di essere una bambina ebrea braccata e costretta a nascondersi prima e a cercare riparo in Svizzera poi. Qui per Lidia la scrittura è la vita, parafrasando Jorge Semprún: nel suo primo diario, personale ed intimo, la ragazzina può liberamente lasciar fluire le preoccupazioni proprie della sua età, tra scuola e amicizie, gravate però dall’esperienza dell’esilio e della discriminazione. Lidia sarà poi un’adolescente dolorosamente consapevole di aver vissuto una guerra del tutto diversa da quella delle sue coetanee non ebree, una studentessa di lingue e insegnante di inglese, moglie e madre di tre figlie, nonna di cinque nipoti, scrittrice. Alla fine degli anni Ottanta Lidia ritrova infatti il “diarietto comune” e ricomincia a scrivere, maturando poi la consapevolezza di voler testimoniare la propria vicenda ad inizio anni Novanta (un periodo fecondo, in cui tanti hanno scritto in parte mossi dall’orrore per una nuova guerra europea in Jugoslavia). Seguiranno diverse interviste e la volontà di riprendere il diario della guerra, una versione meno privata del medesimo scritta per l’amica Vanna, le lettere inviate ai genitori mentre Lidia era costretta a vivere lontano da loro, e infine il nuovo diario iniziato nel 1989. Questa la genesi di Una bambina in fuga, un lavoro che per Lidia era urgente: “C’è chi dice che a nessuno importa più di questi fatti – scriveva – e invece no, ha importanza. Tutti quelli della mia generazione che hanno subito ingiustizia dovrebbero scrivere, scrivere e ancora scrivere”. A noi il compito di collocare anche questa testimonianza nella cornice storica dell’antisemitismo fascista e della persecuzione, insomma di leggere, leggere e ancora leggere.

Araberara (23 giugno 2023)

Aveva solo 11 anni quando, nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale e della persecuzione nazista, Lidia Gallico era fuggita insieme alla sua famiglia in Val Seriana, trovando rifugio nella Valle del Lujo, tra i borghi di Dossello e Casale. I Gallico avevano un ottimo motivo per fuggire e per nascondersi: appartenevano al popolo ebraico. Sulla loro strada, invece delle SS o della Gestapo, hanno fortunatamente trovato Edoardo Nicoli (da tutti conosciuto come ‘Barbù’) e sua moglie Elisabetta Belotti, che li hanno accolti e nascosti a rischio della loro stessa vita. Un ruolo fondamentale era stato giocato dall’allora parroco di Dossello don Angelo Zois. Non è un caso che i tre nel 2019 siano stati riconosciuti ‘Giusti fra le nazioni’.

Lidia se n’è andata pochi giorni fa a quasi 91 anni (li avrebbe compiuti a metà luglio) a Mantova, dove era nata nel 1932. Nel 2016 aveva pubblicato il libro “Una bambina in fuga. Diari e lettere di un’ebrea mantovana al tempo della Shoah”, una memoria degli anni della sua infanzia, vissuti nel timore della persecuzione nazista. Aveva parlato anche dei mesi vissuti in terra albinese per poi rifugiarsi insieme ai suoi familiari in Svizzera. Nel dopoguerra, quando l’incubo era ormai finito da un pezzo, si era laureata e aveva creato una sua famiglia.

Sezione ANPI Albino

In Valle del Lujo protagonisti sconosciuti e dimenticati della storia

L’ebrea Lidia Gallico aveva dieci anni quando, con i genitori, fu nascosta per mesi da una famiglia della Valle del Lujo, durante la persecuzione nazi-fascista, la Shoah, e si salvò espatriando in Svizzera, grazie all’aiuto di due parroci della zona. Oggi di anni ne ha 84 e vorrebbe tornare ad Albino per ringraziare i discendenti di chi l’ha aiutata, quelli che Israele potrebbe riconoscere come “Giusti delle nazioni”. Questa storia era finora sconosciuta. Nascosta in Valle insieme alla famiglia Gallico, c’era la famiglia Goldstaub, il cui nonno Vittorio, imparentato coi Gallico, trasferitosi da Albino a Genova, morì poi ad Auschwitz, come la figlia Ernesta. La storia dei Goldstaub è nota, dal 2001, grazie a uno studio del nostro storico per antonomasia, Alberto Belotti, che l’aveva pubblicato su L’Angelo in famiglia della Parrocchia di Albino. Ora sappiamo che Alberto Goldstaub, pure lui nascosto in Valle con la moglie e tre figli piccoli, invece si salvò. La recente pubblicazione del libro di Lidia Gallico, Una bambina in fuga, a cura di Maria Bacchi, permette di conoscere, con nuova luce, la Valle del Lujo, nel periodo bellico, fino ad ora rimasta in ombra. In concomitanza infatti sta emergendo anche la storia di Ugo, Elio e Flora, figli di un insegnante ebreo, di cui ancora non si conosce il cognome, nascosti in casa di Battista Nicoli dei “Moc”, vicino alla chiesa di Casale. E si ha una traccia anche di ebrei nascosti a Fiobbio. Alle informazioni raccolte in proposito da appassionati di storia locale, come Callisto Gatti e Severino Nicoli, se ne dovranno raccogliere ulteriori in proposito. La storia della fuga di Lidia Gallico, raccolta da Maria Bacchi, ricercatrice storica di Mantova, comincia nell’ottobre 1943 quando il padre medico, per sfuggire alle retate nazi-fasciste, pensa bene di trasferirsi ad Albino, dove erano già sfollati da Milano i suoi cugini Goldstaub. Racconta Lidia: «Salimmo sul trenino della Val Seriana e proseguimmo il nostro viaggio. Io stavo con la mamma, il papà da solo in un altro scompartimento. L’atmosfera era molto tesa. Arrivammo ad Albino. Lì ci aspettavano i cugini che ci accompagnarono in un albergo». I cugini Goldstaub, come risulta dalla lettera del podestà di Albino del 9 novembre 1942 alla Questura di Bergamo, già resa nota da Alberto Belotti nel 2001, sono Goldstaub Vittorio (1869) di Mantova, pensionato, Goldstaub Alberto (1907) figlio di Vittorio e di Gallico Emma, Levi Luciana (n. il 27 luglio 1914), moglie di Alberto e i loro figli Franco (1936), Giulio (1940) ed Emma (1942). L’albergo che provvisoriamente accolse i Gallico fu, con tutta probabilità, quello alla stazione, di proprietà di Giuseppe Bettinelli e della moglie Luigia Vecchi. Sono gli stessi a cui i Goldstaub, “partiti per ignota destinazione da quindici giorni”, come risulta dall’ elenco del 23 ottobre 1943 del Comune di Albino, redatto dagli impiegati, lasciarono in “due locali siti presso la Trattoria Vecchi” i “beni mobili ed utensili casalinghi”, sottoposti a sequestro come da verbale-inventario del 22 gennaio 1944, lungo tre minuziose pagine. Scrive Lidia Gallico «L’albergatore, che era a conoscenza di tutto, ci aveva preso sotto la sua protezione. Ahimè , dopo pochi giorni, non più di una settimana, l’albergatore stesso fu avvertito che presto ci sarebbe stata una retata da parte dei fascisti. L’albergatore ci mise in contatto con un commerciante di bestiame e macellatore clandestino che, poco tempo dopo, ci comunicò che suo cognato era disposto ad ospitarci in casa sua, una baita posta sulle colline sopra Albino. Non essendo abituati ai percorsi di montagna arrivammo su affaticati e stanchi, ma l’accoglienza affettuosa che ricevemmo dalla famiglia Nicoli ci riscaldò il cuore. Il “Barbù” ci aspettava in cima al sentiero con la moglie e i figli». A questo “Barbù” Nicoli è dedicato il libro appena uscito. Le ricerche attivate recentemente dall’ANPI di Albino, hanno permesso di identificarlo in Edoardo Nicoli, sposato con Elisabetta Belotti; avevano 5 figli Ornella, Marina, Melchiorre, Osanna, Edgardo e abitavano in quella che è oggi via Ronchi 3 a Dossello (Lidia Gallico dice Vall’Alta, ed effettivamente il comune di Vall’Alta, prima che fosse soppresso ai tempi del fascio, arrivava ad est fin lì). La casa del “Barbù” Nicoli si tratta dell’attuale stabile che ospita la Comunità Kairos della Cooperativa La Fenice; nell’identificazione della casa, preziosa è stata l’iniziativa autonoma di Elio Capelli, ex Sindaco di Albino, in contatto con Osanna ed Edgardo Nicoli, ancora viventi in Svizzera.

La famiglia Gallico vi fu ospitata, di nascosto, per mesi, dall’ottobre 1943 al 23 gennaio 1944; erano Enzo Gallico (1904), Tina Gallico (1905) e Lidia (1932); l’autrice de Una bambina in fuga è ora in contatto con i Nicoli ancora viventi. Insieme ai Gallico c’erano anche i Goldstaub, in sei si può pensare. Aveva raccontato Lidia: «Il Barbù e la moglie e i cinque figli si erano ritirati al piano terra, per lasciare a noi e ai nostri cugini il primo e il secondo piano. Molto probabilmente anche noi non sembravamo una famiglia ‘sfollata’ da Milano […]: la presenza fra di noi di due uomini giovani (mio padre e suo cugino) che avrebbero dovuto essere in guerra, contraddiceva apertamente quell’affermazione e ci tradiva». Tuttavia quello che indusse i Gallico e i Goldstaub, ad uscire dal nascondiglio della casa del Barbù fu il passaggio, un giorno, di un gruppo di soldati tedeschi in perlustrazione: «Dopo questo episodio inquietante e dopo che il Barbù ci riportò alcune voci sentite in paese secondo cui i fascisti e i tedeschi stavano cercando proprio sulle nostre colline partigiani, soldati fuggiti» ci fu «un “consiglio di famiglia” a cui parteciparono anche il Barbù e don Angelo, il giovane parroco che ci aveva spesso aiutati, la soluzione fu trovata: l’espatrio». Don Angelo è stato identificato, con l’aiuto di don Arturo Bellini, nel parroco di Dossello, don Angelo Zois, a Dossello dal 1935 al 1954, parroco dal 1943 (nato l’11 maggio 1905 e ordinato sacerdote il 21 maggio 1932). Il nipote, Giuseppe Zois, è già stato contattato in proposito, sempre grazie all’iniziativa di Elio Capelli. «Era venuto a prenderci don Angelo che ci accompagnò da don Guerrino, il parroco di un paese vicino, il quale era in contatto con il ‘federale ‘ del posto, che organizzava lui stesso l’espatrio clandestino di gente come noi. Il federale ci disse quanto dovevamo pagare: se non ricordo male, venticinquemilalire a persona». Don Guerino è ipotizzabile sia Gamba, già dell’Oratorio di Albino nel 1941-1942, e nipote del prevosto don Pietro Gamba, più titolato, quale cappellano militare nella Prima Guerra Mondiale coi Lupi di Toscana, a prendere contatti con un federale corrompibile; nel 1944 don Guerino non era più all’Oratorio di Albino, ma in un paese della limitrofa Val Cavallina. Così i Gallico lasciarono Albino e avventurosamente riuscirono a giungere in Svizzera e a salvarsi dallo sterminio. Ora Lidia ha voglia di tornare ad Albino, con Maria Bacchi. Potrà rivedere quei luoghi, soffrire e gioire di nuovo rivedendo i Nicoli, ormai anche loro non più giovani. Potremo sapere meglio che si è salvata la famiglia di Alberto Goldstaub, a differenza di Vittorio ed Ernesta e completare le informazioni sulla nostra storia, dalle testimonianze sia di Lidia Gallico, sia dei Nicoli. C’è un percorso di ricerca storica da completare. Intanto abbiamo già avuto notizie positive sugli “ebrei albinesi”, mentre fino ad ora ne avevamo solo di negative a riguardo. Molti di più di quelli citati fino ad ora, elencati il 23 ottobre 1943. Lidia Gallico farà onore alla Valle del Luio, che mostra persone capaci di rischiare in prima persona e sulla propria pelle per la difesa di diritti umani in una situazione disperata: famiglie di Dossello e di Casale, parroci come don Angelo Zois. Possiamo e potremo domandarci che cosa ha spinto queste persone normali, un “Barbù” e un parroco di un paesino, altri ancora, ad atti che definire eroici non è poco. A questa ricerca, a queste storie di vita che si intrecciano e alla presentazione del libro di Lidia Gallico sta lavorando la Sezione ANPI di Albino che prevede per i primi di maggio un incontro pubblico con l’autrice. Intanto possiamo anche riflettere sull’invocazione con cui Lidia Gallico conclude la sua testimonianza scritta: «Signore, se ci sei ancora dopo Auschwitz, mai più mai più, per nessun popolo al mondo». E farla nostra: infatti, anche noi, nelle presenti circostanze storiche, siamo chiamati a impegnarci nella difesa dei diritti umani di tante persone che forze contrarie, anche nella storia di oggi, vorrebbe escludere se non eliminare.

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