File:1995 Levi.jpg

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{it} Donatella Levi. Vuole sapere il nome vero o il nome falso?. Padova: Il Lichene Edizioni, 1995.

Abstract

"La storia di una bambina costretta, durante la guerra, a nascondersi e fuggire cambiando nome. Nello spaesamento del ritorno, la ricerca dolorosa di una precaria identità."--Publisher description.

Review, by Sara Valentina Di Palma

Si tratta di uno dei pochi casi in cui, come nelle testimonianze di Liliana Treves Alcalay e di Lia Levi, l’autrice cela la rievocazione immedesimandosi in se stessa bambina per suggerire meglio il senso di straniamento e l’incapacità dell’infanzia nella piena comprensione razionale dei fatti visti o raccontati, che non sempre appaiono credibili. Il linguaggio è volutamente piano e semplice, la sintassi poco articolata, il ritmo spezzato. Come Donatella stessa afferma (lettera a Sara V. Di Palma, 5 luglio 2000) “E’ una testimonianza scritta il più possibile in linguaggio infantile”.

Nata a Verona nel 1939, la piccola Donatella si nasconde con la famiglia nel Casentino e a Roma, dove vede la fine della guerra. Diversamente dalla maggior parte dei testi memorialistici, nella testimonianza di Donatella il discorso sul ritorno alla libertà nel 1945 occupa uno spazio maggiore rispetto alla persecuzione, e ciò risponde all’esigenza di descrivere come per la bambina il mondo del dopoguerra sia più difficile da affrontare che non la guerra stessa. L’arrivo a casa, per una bambina nata nel 1939, coincide con il ritorno ad un nulla, a qualcosa di ignoto che appartiene al mondo di un ‘prima’ che per lei non è mai esistito.

Si aggiunge, poi, l’angoscia di vedere anche gli adulti trasformarsi nella ‘nuova’ casa, come se anch’essi non fossero più gli stessi della fuga e del nascondiglio a Roma. In Donatella si manifesta la paura degli spazi vasti e vuoti nella casa sconosciuta, insieme al terrore di restare sola lontana dai grandi che ha avuto sempre accanto.

Inoltre, nessuno le spiega ciò che sta accadendo, i discorsi che sente sulla Shoah, il motivo per cui debba andare in chiesa pur appartenendo ad una famiglia ebrea. Battezzatala alla nascita nella speranza di salvarla, la madre pretende ora che Donatella cresca nel cattolicesimo ma ciò è fonte di contrasti in famiglia e di confusione nella bambina. Ella sente che il dopoguerra non fa decisamente per lei, è troppo complicato e doloroso; decide perciò di non fare domande per evitare litigi in casa ma la sua origine ebraica si scontra inevitabilmente con quanto apprende su Gesù e sulle responsabilità degli ebrei.

Altri momenti salienti della sua testimonianza sono: la difficoltà di comportarsi da adulta di fronte a genitori impauriti che sembrano bambini e l’incapacità di soddisfare la fragile emotività dei familiari rendendoli felici; e, soprattutto, l’incomprensione della falsa identità. Donatella si trova all’improvviso con un nome nuovo, Maria Bianchi. Alla paura di sbagliare il nuovo nome o di dimenticarlo si somma il timore che lei stessa diventi un’altra o che la madre – a sua volta con una nuova identità – muti sotto i suoi occhi.

La piccola si convince che i nomi si possono regalare e ricevere, che ci sono nomi pericolosi (quelli veri), nomi da ricchi (come Maria), negozi per comprare i nomi. O, forse, i nomi si vincono e si perdono come nel gioco delle carte, ma per uscire di casa è assolutamente necessario avere di nuovo il nome adatto. Forse i nomi si imparano a scuola, insieme ai comportamenti per affrontare la guerra e salvarsi la vita.

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current13:35, 9 September 2020Thumbnail for version as of 13:35, 9 September 2020187 × 266 (5 KB)Gabriele Boccaccini (talk | contribs)